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Immagine del redattoreDott.ssa Chiara Zioli

Il sonno dei bambini nei primi tre anni di vita

Aggiornamento: 19 gen



Cosa succede quando nelle nostre case arriva un cucciolo di uomo, tanto amato e tanto desiderato ma che non ne vuole proprio sapere di dormire la notte?!

Ho scelto di soffermarmi su questo tema perché è stato per diversi mesi un argomento “scottante” anche per me! Parlo quindi da neo-mamma, ancor prima che da psicologa, che da alcuni mesi a questa parte ha a che fare con una bimba dolcissima che però pare non essere una perfetta dormigliona!

Quando ci si appresta a diventare genitori un pensiero comune è che la cura del bambino riguardi soprattutto le ore diurne. Nonostante nonni, suoceri, amici e vicini di casa ci avevano avvertito che le nostre notti non sarebbero state più le stesse, spesso abbiamo continuato a pensare che il nostro bambino invece avrebbe dormito. “Sarà una questione di abitudine e poi probabilmente imparerà a dormire sempre più ore di fila, magari anche nel lettino da solo e magari anche nella sua cameretta” pensavamo!

Questo perché nella nostra cultura vige l’idea che il bambino debba da subito essere autonomo e soprattutto che il sonno sia un comportamento che viene appreso.

Tuttavia, quello che invece ignoriamo è che il sonno è prima di tutto un atto fisiologico, e per questo motivo non può essere né appreso né insegnato. Non possiamo educare un bambino a dormire…semplicemente perché essendo un bisogno primario e fisiologico, già lo sa fare! Quello che aimè dobbiamo sapere è che il sonno dei bambini è molto diverso da quello degli adulti!

Il ritmo fisiologico del sonno del bambino è diverso da quello degli adulti fino a circa tre anni di vita, ciò significa, detto in parole semplici e senza addentrarci in più complesse spiegazioni fisiologiche, che il sonno del bambino si struttura diversamente da quello dell’adulto, e per questo motivo i ripetuti risvegli notturni nel corso di questi primi anni di vita sono assolutamente normali, poiché ritenuti una normale tappa di crescita del loro sistema nervoso.

C’è poi da considerare una notevole variabilità del sonno del neonato dovuta a numerosi fattori, quali per esempio la genetica, alcuni parametri fisiologici per cui ognuno di noi ha le proprie particolari quantità di ore di sonno necessarie al proprio organismo, il temperamento.

Al di là dei ritmi fisiologici inoltre, possono essere diversi i motivi per cui un bambino si sveglia, l’eruzione dei dentini, una maggiore sensibilità ai rumori, le emissioni elettromagnetiche, alcuni eventi emotivamente significativi che sta vivendo in quella precisa fase di vita come per esempio la nascita di un fratellino o il rientro della mamma al lavoro. Tuttavia se l’adulto ha acquisito nel corso dell’infanzia la capacità di riaddormentarsi autonomamente (spesso non ce ne accorgiamo nemmeno, ci basta girarci sull’altro fianco per riprendere sonno!), il neonato spesso non ha ancora raggiunto questa capacità.

Anzi, la notte può rappresentare per lui un momento di incertezza, per cui diventa ancora più preponderante la necessità di essere accudito e rassicurato, affinché possa imparare gradualmente a riaddormentarsi da solo, senza la paura e la sensazione di non essere stato ascoltato.

Non rispondere infatti sistematicamente al pianto del neonato, come suggeriscono alcuni metodi molto in voga ma che non godono di alcuna rilevanza scientifica, rischia di innescare in lui una condizione di stress e una conseguente reazione per cui il bambino non piange più e si chiude in se stesso.

Questa risposta può essere scambiata per una conquista di autonomia e di indipendenza, ma rappresenta invece molto spesso una reazione alla non considerazione della propria dimensione affettiva. Può accadere infatti che smetta di piangere non perché ha esaudito il suo bisogno, ma perché ha appreso che nessuno gli risponde.

Per crescere bambini sicuri ed autonomi è invece fondamentale dare spazio ed accogliere il loro mondo emotivo, e assicurare rassicurazione e risposta ai loro principali bisogni.

Come fare quindi per far fronte ad un bambino che di dormire non ne vuole proprio sapere?

Innanzitutto partire dal presupposto che l’idea che un bambino di pochi mesi debba dormire tutta la notte (se la genetica non ci è di aiuto!), rappresenta un grande equivoco… così come non ci aspettiamo che un bambino di pochi mesi sappia già parlare o camminare, non ci dobbiamo aspettare che il suo sonno sia uguale al nostro.

In secondo luogo ciò che un genitore può fare, anziché pensare a metodi preconfezionati, è semplicemente seguire il suo istinto, cercando di abbandonare stereotipi culturali che in molti casi appartengono appunto solo alla nostra cultura, e che rappresentano una fregatura piuttosto che un aiuto.

Seguire il proprio istinto significa quindi non sentirsi giudicati nel caso in cui si dovesse decidere per esempio di tenere il proprio bimbo nel lettone, o di allattarlo a richiesta fino a dopo l’anno di età. Prendere il proprio bimbo nel cuore della notte, e portarlo tra le proprie braccia fornendo il calore e la rassicurazione di un posto che rievoca la vita intrauterina, non significa viziarlo o renderlo meno autonomo, significa invece dare risposta ad un bisogno per lui fondamentale in quel dato momento, e dare un significativo contributo allo sviluppo del suo mondo interiore.

La vera sfida infatti per un genitore è quella di liberarsi da tali condizionamenti culturali, che ci impongono bambini che devono essere fin da subito autonomi e indipendenti, piuttosto che porre maggiore attenzione all’importanza dell’affettività, della prossimità e del contatto, fondamentali per porre le basi per un adeguato sviluppo psicologico.

Rispetto al tema del sonno infatti, molto spesso non è vero che i bambini non vogliono dormire, è vero invece che non vogliono dormire da soli. Per questo motivo, in molti casi la soluzione a questo “problema” sta proprio nell’assecondare i loro bisogni, adottando le giuste strategie per garantire un sonno sicuro al piccolo, tenendo presente le necessità di tutti i membri della famiglia, che variano però da caso a caso e non possono essere banalizzate e semplificate con metodi standardizzati.

Ogni famiglia dovrebbe organizzarsi adottando le modalità e le strategie per garantire un giusto benessere ad ognuno dei suoi membri, senza dover subire il giudizio di chi si trova al di fuori di quel sistema familiare.

Per ricevere maggiori informazioni su questo argomento potete contattarmi; nel caso in cui vogliate invece approfondirlo da soli vi suggerisco una lettura molto semplice ma anche molto esaustiva, “I cuccioli non dormono da soli” di Alessandra Bortolotti.


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